Non è il tempo delle accuse

di Antonio Suraci

Non è il tempo delle accuse. I fatti sono sotto gli occhi di tutti e parlano chiaro. E’ il tempo, e siamo in ritardo, di avviare un percorso che abbia quale metodo trasparenza, moralità e senso civico, per chiudere il capitolo della pochezza intellettuale e avviare una stagione di rinascita delle istituzioni regionali e comunali.

Tutte i partiti, pur con diverse finalità e responsabilità, portano il peso della fine della politica nella Regione Lazio. Da troppo tempo si è costretti a subire i vizi privati a danno delle pubbliche virtù, condannando il cittadino alla visione di uno spettacolo che, col semplice definire indecente, si rischia di cadere nel buonismo.

Con il governo Monti si era avviata una stagione di riflessione sul ruolo delle forze politiche e sulla politica in generale; evidentemente le stesse forze politiche hanno frainteso il metodo che ha innovato la vita pubblica sul versante del risanamento nell’interesse del Paese evitando di intromettersi sulla gestione delle Regioni che sono e restano una parte essenziale per il raggiungimento degli obiettivi posti dal Governo. Realtà regionali quali la Lombardia, la Campania, la Sicilia, per limitarsi ad alcuni esempi, di fatto vengono gestite come ‘cosa propria’. Se il Lazio ha messo fine alla parola ‘politica’, queste realtà porranno fine ai partiti quali derivati confusi della stagione di Tangentopoli. Questa pesante responsabilità, che grava su tutta la classe dirigente, non può essere liquidata solamente affermando l’inadeguatezza di quest’ultima. Vi è di più.

Tutte le forze politiche esistono perché hanno ricevuto democraticamente un voto, seppur parziale, dai cittadini. Due sono le questioni: 1) la difficoltà dell’intera società a distinguere il metodo di gestione della cosa pubblica, allegro e disinvolto, di alcune forze politiche, da altre forze che intendono la politica quale missione nell’interesse comune; 2) la necessità di rivedere il ruolo delle Regioni avviando una seria riflessione sul Titolo V della Costituzione.

Lo scenario che abbiamo davanti è ancora più nebuloso per la virulenta crescita di posizioni populiste che spesso si trasformano in assordanti, quanto pericolose, rivendicazioni nazionaliste.

Il Lazio non ha creato solo un buco di bilancio, ma ha generato un baratro tra politica e cittadinanza di dimensioni tali che rischia di essere occupato da forze qualunquiste quale risposta ad una politica truffaldina.

Errori sono stati commessi da tutti, anche da coloro che hanno creduto ad un cambio generazionale, allora rappresentato dallo schieramento di centro-destra. Il desiderio di cambiamento non è stato sufficientemente ponderato sulla qualità della generazione chiamata a tali incarichi. In molti hanno pensato che uomini nati negli anni della Repubblica e il loro conseguente inserimento nel processo democratico, favorito da inopportune leggi elettorali, avesse inciso sul livello culturale in termini di valori democratici e di rispetto della cosa pubblica. Grande e grave errore.

Allora che fare? Non è più tempo di tentare di aggiustare ‘i cocci’; tutte le forze politiche riformiste e liberaldemocratiche hanno il dovere, rifuggendo da tentazioni purificatrici a danno di altri, di incontrarsi e definire insieme un percorso non solo di risanamento economico ma di riscrittura di regole condivise per la gestione della cosa pubblica, innovative anche per i rapporti che dovranno intercorrere tra le stesse.

Occorre un atto di umiltà e di generosità verso quella cittadinanza smarrita, penalizzata dall’inefficienza e dalla inconsistenza delle proposte che l’hanno allontanata da quell’Europa che, sempre più sbigottita, osserva, seppur ancora non condanna, e questo grazie all’azione politica del Presidente del Consiglio.

Tale temporanea magnanimità non durerà a lungo e sta a tutte le forze politiche del Lazio offrire un serio cambiamento di programmi e di uomini in grado di portare a stabilità lo sviluppo della Regione, individuando, contemporaneamente, nuove soluzioni per la gestione della Città Metropolitana di Roma.

Le due cose non sono disgiunte e, per far nascere un grande progetto di sviluppo, non sarà sufficiente una sola forza politica, una sola intelligenza; occorrerà un patto per lo sviluppo che veda il concorso di tutte le forze politiche regionali e comunali avviando una stagione in cui l’unità di intenti dovrà caratterizzare la ripresa della politica e la rifondazione dei partiti politici.

Il cittadino deve tornare al centro dell’azione politica, ma per fare ciò sarà necessario, con il concorso di tutti, riorganizzare la vita delle istituzioni, Regione e Comune, snellendo le procedure e finalizzando le risorse allo sviluppo, alla crescita delle imprese e all’occupazione, se vogliamo mantenere in essere un modello di Stato sociale, il quale richiede anch’esso maggiore efficienza, eliminando inutili dispersioni di denaro pubblico in una obsoleta organizzazione.